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Il Secolo d'Italia - La recensione di Mario Bernardi Guardi
 

La rocciosa fede di Eiot
"O Luce Invisibile, noi Ti lodiamo! / Troppo splendente per la vista mortale. / O Luce Maggiore, noi Ti lodiamo per quella minore: / La luce da est che al mattino tocca le guglie, / La luce che s'inclina sulle nostre porte a ovest la sera, / Il crepuscolo sulle pozze stagnanti quando vola il pipistrello, / La luce della luna e la luce delle stelle, la luce del gufo e quella della falena, / La luce luccicante della lucciola sopra un filo d'erba. / O Luce invisibile, noi Ti adoriamo".
Così canta il Coro della Roccia, il dramma di Thomas Stearns Eliot, in scena a San Miniato, sulla Piazza della Cattedrale, fino al 26 luglio. Siamo all'epilogo: dopo la crisi/crescita, ecco la persuasione. La Roccia di buona pietra, la Roccia del Buon Pietro, custode e costruttore, fonda il tempio. La guerra, scatenata dalle ideologie che hanno pretese di sostituirsi a Dio e di cacciarlo via dalla vita privata e da quella comunitaria, ha seminato rovine e lutti: per lungo tempo i cuori sono rimasti "armati", a lungo hanno coltivato odio e risentimento, sequenza dopo sequenza hanno distillato l'amaro del dubbio, dell'accidia che invade i nervi e lo spirito. Ma, tensione dopo tensione (e tutto è sempre dolorosamente intimo, e altrettanto dolorosamente coinvolge l'intera comunità), il processo di maturazione si è svolto ed è giunto a compimento. Gli Inferi non prevarranno: non hanno prevalso.
Dopo le inquietudini della Terra desolata (1922) - periplo mitico lungo le contrade dell'assenza e del desiderio, e semina affascinante di simboli cui restituire l'integro vigore del significato - Eliot dà un ordine di nitore tradizionale alla sua poetica e si sente vocato a svolgere un'opera di alta pedagogia morale e spirituale.
Vien fatto di pensare ad Alessandro Manzoni, quando, con I Promessi Sposi, dichiara a chiare lettere il suo intento edificante: l'intellettuale ha una responsabilità pubblica; la responsabilità dell'intellettuale cattolico nei confronti dei lettori è quella di rinsaldare una fede che vacilla, di resuscitarla, dunque, o, ove manchi, di suscitarla. La responsabilità del convertito è quella di convertire. Potrà non piacere questo impegno di persuasione: ma sbaglia chi lo identifica necessariamente con la didascalia, mettendo in dubbio il permanere dello slancio poetico in chi voglia rinnovare e mobilitare le coscienze. E qui il dibattito si farebbe infinito: dalle inquietudini della cerca nasce la poesia, dalla quiete - profonda e stabile - della conquista può derivare solo una sacra immaginetta, edificante e celebrativa?
Noi non lo crediamo: e visto che abbiamo accennato a Manzoni, diciamo che lo scrittore lombardo col suo romanzo segna la storia della letteratura così come l'ha segnata Leopardi. Ma evidentemente altre erano le idee di quei critici che rifiutarono, nel 1934, l'Eliot del dramma La Roccia, rappresentato per la prima volta nel maggio di quell'anno al Sadler's Well Theatre. Perché La Roccia non solo nasceva come esplicita proposta di teatro cristiano, ma addirittura era stata commissionata ad Eliot dal comitato della diocesi londinese della Chiesa Anglicana, impegnato a raccogliere fondi per ta costruzione di 45 luoghi di culto nei nuovi quartieri della città. Poteva nascere la poesia da una occasione tanto "pratica"? E così La Roccia non piacque, o meglio, piacquero i suoi "Cori", isolati come splendide pietre preziose.
Poi, due anni fa, la riscoperta del testo integrale da parte di Marco Respinti (La Roccia, Biblioteca di via Senato Edizioni, pp. 205, euro 16). E la volontà di aprire un dibattito in termini corretti (non "politicamente corretti"): è legittimo "amputare" Eliot, imputandogli intenti edificanti? E legittimo separare lo slancio lirico dei "Cori" dal tessuto in prosa, dalla sua struttura oratoria, dal suo intendimento evangelizzante? Respinti ha creduto che non lo fosse: e sulla stessa lunghezza d'onda si è mosso il regista, "pedagogo teatrale" e "missionario laico" Pino Manzari che ha rielaborato drammaturgicamente La Roccia per portarla in scena in occasione della LX Festa del Teatro. Nella sua integralità? No, perché lo spettacolo avrebbe avuto una durata di quattro-cinque ore. Ma nella sua sostanza poetica e spirituale, indubbiamente sì, pur con qualche necessario "tradimento" o "abuso" che non intacca la fedeltà: Manzari, infatti, ha trasportato la storia dall'Inghilterra - e dalla Chiesa d'Inghilterra - a San Miniato e alla Cattedrale di San Miniato, che fu investita dalla violenza della seconda guerra mondiate con una tremenda esplosione di fuoco sedicente "amico" (la granata sparata dagli americani contro le truppe tedesche in ritirata colpì la Chiesa, facendo strage di fedeli: ma c'è ancora chi fa fatica ad ammettere la verità, visto che per sessantanni quest'eccidio è stato attribuito ai nazi). Intatto il messaggio: che è quello della costruzione / ricostruzione.
Ma costruire cosa? Chiese, che sono poi le case dove la comunità si ritrova. Uomini che si incontrano per incontrare insieme Dio. In un mondo tanto spiritualmente avvilito e contaminato da chiedersi, per bocca degli alfieri di questo o di quest'altro interesse, o di questa o di quest'altra ideologia, "perché" si debbano ancora edificare chiese, Eliot non teme di rispondere che gli uomini, facendolo, costruiscono se stessi a riscatto della loro storia e a maggior gloria dì Dio. È una "provocazione" quella del poeta anglo-americano. È un "chiamare" in vista di un progetto, di una finalità. Ora: è una colpa credere nel bene e lavorare per il bene? E la poesia che edifica di necessità "muore" perché sovraccarica di allegorie e vibrante di accenti oratori? Beh, la risposta banale con cui potremmo liquidare la faccenda è: muore, e resta la sola oratoria, alla lunga uggiosa proprio perché sovraccarica di "moralità", se dietro - e "dentro", a lavorare - non c'è un grande poeta. Ma Eliot è un grande poeta. Non sarà, per caso, che il rifiuto opposto a The Rock - La Roccia nella sua integralità - sia nato da un pregiudìzio? Meglio ancora: dalla paura di giudicare serenamente e oggettivamente una proposta culturale così compiutamente "persuasa" nel senso e nel segno cristiano? A vedere in scena il dramma di Eliot sulla Piazza del Duomo, a San Miniato, verrebbe fatto di rispondere: sì, questo Eliot fa paura. Scuote le coscienze, invoca, condanna, chiama a raccolta, non teme il meraviglioso anacronismo della fede. Pino Manzari l'ha capito, e si è preso la libertà di un ulteriore abuso, nel rispetto delta verità, e facendo perno sulla sensibilità partecipe di due interpreti come Massimo Foschi e Maddalena Crippa ha messo in scena anche sequenze del dramma della coppia Eliot-Vivien, di due sposi che si debbono incontrare o ritrovare, di due solitudini che debbono sciogliersi nell'abbraccio. Era importante farlo: perché i percorsi mitici e simbolici non potevano - non dovevano - essere "verificati" solo nella carne e nel sangue delle esperienze storiche e comunitarie, ma potevano - e dovevano - accogliere la testimonianza, l'"imprimatur" di un doloroso percorso privato di riedificazione cristiana. Eccola, allora, la Roccia della ritrovata e robusta persuasione, del dramma e della finale letizia proiettata nel futuro. Sul senso ritrovato alla luce dell'eterno.

Mario Bernardi Guardi, Il Secolo d'Italia 25 luglio 2006




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