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Libert� - La recensione di Enrico Marcotti
 

La recensione

Billy Budd, angelo caduto

Cinquant'anni di vita. Cinquantuno edizioni. La festa del teatro di San Miniato, concepita nel lontano 1947 dall'Istituto del dramma popolare, di strada ne ha fatta. Attraverso testi e messinscene di prestigio legati a filo doppio a grandi temi di riflessione, si è via via consolidata assumendo nel tempo il carattere di eventi teatrale fra i più importanti della stagione culturale estiva.
E anche quest'anno dunque, nello scenario della splendida piazzetta del Duomo del borgo medievale toscano, tra scrosci d'acqua che hanno tenuto col fiato sospeso organizzatori e pubblico per una buona mezz'ora prima del via, ha preso il largo la manifestazione e si è così ripetuto il rito del teatro.
La scelta, questa volta, è caduta su un testo di Herman Melville, Billy Budd il marinaio, romanzo breve dell'autore di Moby Dìck, scritto poco prima della morte, uscito postumo nel 1924, e con un valore testamentario che affascina per ricchezza di temi e ambiguità di fondo. Alla riduzione per la scena si è adoperato Enrico Grappali che ha affidato il testo alla regia di Sandro Sequi potendo contare sulla scena, una splendida nave bianca, palcoscenico di un dibattito morale prima che di una vicenda marinara, realizzata dallo scultore Pietro Cascella.
I fatti, che si immaginano già avvenuti, raccontati dalle presenze fantasmatiche dei protagonisti, si svolgono nel 1797, quando i venti della Rivoluzione francese cominciano a soffiare anche oltre Manica causando una serie di ammutinamenti sulle navi inglesi che tengono in allarme la marina britannica. Le vicende ci portano sulla fregata Indomita dove comanda il capitano Vere, detto lo Stellato per la sua consuetudine di scrutare le stelle più che l'onde. Vere legge la Bibbia, discetta di Milton e Montaigne, è considerato un uomo giusto dai marinai. Di fronte ha però l'ambiguo maestro d'armi John Claggart, figura dal passato ignoto quanto burrascoso, un "uomo di terra" prestato alla vita di mare, intelligente ma roso da invidie e gelosie che ben presto, non disgiunte da un dubbio richiamo per la bellezza fisica, si appuntano sul Bel Marinaio Billy Budd, un trovatello arruolato "a forza" da un'altra nave per fare il gabbiere di parrocchetto sul pennone più alto dell'Indomita. Billy Budd è molto amato dal capitano e assomma in sé doti di innocenza e disponibilità, fedeltà e sensibilità: insomma, un angelo caduto sulla nave, venerato dall'equipaggio e preso a ben volere anche dal vecchio Danese, marinaio di lungo corso, burbero mai di animo gentile, che verso di lui dimostra l'atteggiamento premuroso dell'anziano padre nei confronti del figlio docile e indifeso. Claggart, invidioso della freschezza e dell'innocenza del giovane, lo accusa falsamente di sobillare la ciurma allo scopo di preparare un ammutinamento. In un drammatico faccia a faccia a tre con il capitano e Claggart, Billy Budd sferra un pugno al maestro d'armi uccidendolo. La legge del mare è dura e la pena, nonostante il dissidio ulteriore che macera il capitano Vere, arriva puntuale e ineluttabile. Billy Budd sarà impiccato al pennone più alto della nave come un Cristo in croce. Ma il Bel Marinaio accetterà serenamente la morte benedicendo il suo capitano nell'ora estrema entrando così nella leggenda. Ora, a questa parabola marinara dove Melville mescola senso ascetico ad accettazione del Tragico, dissidio tra dovere e aneliti della coscienza, assurdità del vivere e afflato morale, Innocenza e Colpa, arricchendo la narrazione di percorsi trasversali e simbolici che allargano il campo all'indagine religiosa e filosofica, non era facile trovare una collocazione scenica adeguata, tenendo conto del sottotesto etico che in alcuni momenti è addirittura debordante. Del resto, tentativi di resa espressiva del lavoro di Melville ce n'erano stati anche nella musica e nel cinema, rispettivamente con una partitura di Britten nel '51 e con il film di Peter Ustinov del '62 (poco riuscito).
L'operazione tentata da Grappali, che ha ridotto il racconto di Melville in poco più di un'oretta e mezzo, rende giustizia in parte al capolavoro dello scrittore americano, dovendo fare i conti con una sostanziale intraducibilità del meraviglioso equilibrio tra realismo della storia e trascendentalità del messaggio, tra ragioni sceniche concrete e trasfigurazione orfica dei mille significati che animano la pagina letteraria.
Così, alcuni personaggi, nell'intricato gioco che anima il loro drammatico dibattito morale e interiore, prendono più o meno rilievo di quanto ne dovrebbero avere (vedi il sopravvalutato caporale di battello Squeak, peraltro ben interpretato da Giancarlo Condè). Più curato appare il ruolo di Claggart, che Corrado Pani riempie di una strisciante e antipatica bavosità. E mentre il giovane Billy Budd ha la giovanile esuberanza di Maximilian Nisi, il capitano Vere, pure reso con aristocratica fierezza da un ispirato Massimo Foschi, appare troppo in ombra rispetto al corrispettivo letterario.
Nel complesso, comunque, la storia, mossa con senso metafisico da Sandro Sequi, che si è avvalso delle suggestive e magmatiche musiche di Francesco De Luca e Alessandro Forti e dei plastici costumi di Cordella von den Steinen, ha una sua apprezzabile teatralità. A dimostrazione, gli applausi calorosi del pubblico al termine della "prima". Ora, tempo permettendo, la nave di Billy Budd affronta le repliche a San Miniato fino al 24 luglio. Poi alla Versiliana, a Borgio Verezzi e a Pescara, in attesa della ripresa invernale.

Enrico Marcotti, Libertà , Piacenza, 20 luglio 1997




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