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Famiglia Cristiana - La recensione di Carlo Maria Pensa
 

FRANCESCO IN CICLOMOTORE PARLA ALL'UOMO D'OGGI
Intorno all'urna coi resti di san Francesco, nella basilica assisana, sono le tombe dei quattro frati che a lui furono più cari, Leone, Rufino, Masseo, Angelo. Fedeli e pellegrini lo sanno, mentre molti ignorano, forse, chi sia mai, in una tomba non lontano, nella cripta, quella Madonna Jacopa (o Giacoma) de' Settesoli che gli annali dell'Ordine venerano beata. Era una patrizia romana, moglie del cavalier Graziano Frangipani: e a Roma infatti la conobbe Francesco quando ci si recò, nel 1212, le regalò un agnello e lei gli fu sempre devotissima, tanto da volerlo seguire in Assisi; e poiché qualcuno osservò che la Regola escludeva la presenza di donne, lui se la cavò dicendo, con un sorriso, che avrebbe battezzato la sua ospite Fratello Giacoma. Francesco la volle accanto a sé, sul letto di morte; ma prima che il suo messaggio la raggiungesse a Roma, essa era già arrivata alla Porziuncola per raccogliere l'ultimo respiro del santo.
Furono - si sa - i primi biografi e cronisti, come Tommaso da Celano e fra Salimbene, a tacere o mascherare certi atteggiamenti della vita di Francesco e dei suoi frati, per timore che qualcuno li potesse sospettare di chissà quali debolezze: soprattutto nei loro rapporti con le donne, non esclusa Chiara degli Scifi, santa Chiara, per la quale, quand'ebbe pronunciato i voti, Francesco - è stato detto - «fece invece quello che di solito faceva per i frati». Taciuti allora, tanti piccoli modi d'essere hanno poi invece restituito alla figura di Francesco uno straordinario calore di umanità. Puro nel cuore e nella carne.
Così lo si ritrova nel romanzo di Joseph Delteil, L'uomo che vide (1960), la cui trascrizione drammatica, a cura di Krzysztof Zanussi e Piero Ferrero, è stata ora messa in scena, con la regia dello stesso Zanussi, nella piazza del Duomo di San Miniato al Monte.
Un san Francesco che vive, finalmente, nelle parole semplici, sincere, disarmate di un uomo qualunque, un uomo del nostro tempo e senza nome, che "ha visto", che dice di aver visto san Francesco d'Assisi e, caracollando come un turista su una mountain-bike, ce lo racconta con la modestia di un cronista senza retorica. Nella pittoresca, austera monumentalità della piazza sanminiatese, intelligentemente rispettata dallo scenografo Luigi Del Fante, lo spettacolo si è articolato in una serie di quadri che seguono la parabola di Francesco figlio di Bernardone, dai giorni della sua sfrenata giovinezza quando, per andare alla guerra, anziché in groppa a un cavallo monta in sella a un rombante ciclomotore, non diversamente da quanto faranno, in altre circostanze, i suoi confratelli scarrozzanti su un motofurgone... Poi, la rivelazione evangelica, la "scoperta" della povertà come segno di beatitudine, il bacio al lebbroso, l'incontro con Giacoma e con Chiara fuggita di casa quella notte dopo la domenica delle Palme del 1212... Fino alle difficoltà affrontate per la sopravvivenza dell'Ordine, la malattia, le angosce, la fine.
È pur vero che la riduzione di Zanussi può anche non convincere; e non meno vero è che l'insistenza con cui la regia preme sulla modernizzazione della "storia" risulta, a tratti, irritante. Ma ogni perplessità è risolta dalla eccellente interpretazione di attori quali Carlo Simoni, "l'uomo che vide" dalla limpidezza discorsiva; Antonio Pierfederici, l'acuto Prete di San Damiano; Maximilian Nisi, un Francesco di profonda, autentica verità. Voglio poi ricordare Maggiorino Porta, padre dello "scapestrato" che lo deruba per donare ai poveri; Sara D'Amano (Giacoma) e Frida Bruno (Chiara). Canzoni e musiche di Andrea Nicolini non disturbate, per fortuna, dai motori di Francesco e compagni.
CARLO MARIA PENSA, Famiglia Cristiana, 26 luglio 1998




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