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Liberazione - La recensione di Simona Maggiorelli
 

La rivolta di Billy Budd
Una monumentale nave bianca con alti alberi e pennoni di gesso, campeggia in piazza Duomo, nella parte alta del paese. Nella sua frigida e classica staticità l'imponente macchina scenica scolpita da Pietro Cascella sembra quasi un calco, un fantasma pietrificato di qualcosa che è scomparso, che è stato ucciso nella sua vitalità.
E' l'immagine allegorica di Billy Budd, il marinaio impiccato dall'equipaggio della nave Indomita perché troppo bello e scopertamente puro che dà il titolo allo spettacolo.
Di lui racconta lo scrittore americano Herman Melville, in un sorprendente romanzo breve che Enrico Groppali ha adattato a testo teatrale per la cinquantunesima festa del teatro organizzata dall'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato.
E il clima onirico e straniante di quest'opera postuma dell'autore di Moby Dick - malgrado le sventure meteorologiche che bagnano la prima rappresentazione che ci auguriamo non accompagneranno le repliche previste fino al 23 luglio - cattura lo spettatore fin dalla prima scena, quando in divise rigide ma sinistramente percorse da crepe e fratture (i costumi sono della scultrice Cordelia von den Steinen) si presentano ai lati opposti della nave il maestro d'armi Claggart e il capitano Vere. Sono entrambi già morti, ma tornano come ombre dall'Ade per evocare a ritroso le epifanie di questa strana vicenda che ha per protagonista un ragazzo senza storia, che rivendica di non avere né padri, né madri, né maestri.
Billy Budd non ha genealogie a cui attribuire la propria identità; non è il ruolo di marinaio né il codice militare a farlo sentire vivo. «E' un trovatello, uno scherzo della natura», dice sarcastico Claggart, sorta di Jago invidioso che vede e nega la forza e l'integrità del giovane marinaio. La sua lealtà, la sua «purezza nell'aprirsi al mondo» sono un'offesa per chi strada facendo nella vita ha perso pezzi di se stesso: Claggart, sciancato, si appoggia al bastone dell'ordine legale sormontato da un teschio. La ciurma dei marinai, esemplarmente rappresentata dalle meschine strategie di delazione del novizio, ha introiettato la sconfitta e vede in Billy Budd, ex marinaio della nave dei diritti dell'uomo nel mare agitato dai venti della Rivoluzione francese, una scomoda diversità. Ma la forza rivoluzionaria di Billy, che il regista Sandro Sequi affida alla statuaria e un po' rigida presenza scenica di Maximilian Nisi, non si traduce nella piccola politica di tatticismi e strategie. La radicalità della sua ribellione sta nel non scendere a compromessi, in una forza che sembra venire da un rifiuto inconscio e potentissimo di ciò che negli uomini appare come disumano. Per questo Claggart, che Corrado Pani interpreta con una maschera di trattenuto livore, vede in lui un angelo e insieme un demonio. Agli occhi scrutatori della coscienza malata del logos e della gerarchia militare, Billy oppone un sorriso imprevedibile, il rifiuto di un linguaggio normale (balbetta nel parlare quotidiano e si esprime solo cantando) , la forza e la fantasia che gli vengono dall'amore per gli esseri umani e dal rapporto diretto con il mare, metafora che nel testo di Melville sembra alludere a una dimensione inconscia della vita. La rivolta contro l'autorità - che il coro dei marinai dichiara inammissibile - a Billy costerà la condanna a morte, in una scena finale che purtroppo non riesce a tradurre la complessità e la ricchezza di senso dell'originale.
SIMONA MAGGIORELLI, Liberazione, 19 luglio 1997




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