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Avvenire - La recensione di Domenico Rigotti
 

La tentazione del male nel dramma di Green
Sempre attento a proporre e a riscoprire testi non vuoti di contenuti, anzi di forte moralità, l'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato per la sua sessantunesima Festa del Teatro ha messo in cantiere e porta alla riscoperta un dramma di Julien Green, il grande scrittore francese (ma originario del profondo sud americano) che s'inserisce, e occupa una posizione di riguardo, tra i celebri nomi di Claudel e Bernanos, ossia tra i non pacifici autori cattolici francesi del Novecento (l'iscrizione tra i quali gli spetta dopo la sua conversione avvenuta nel 1939). Mai rappresentato da noi, il lavoro, L'ennemi (Il nemico), rivela già dal titolo il suo obiettivo: porre al centro della vicenda il male metafisico che corrode le anime, le lacera e le strazia. Ma anche ponendosi davanti a loro come uno specchio, le può portare alla salvezza, alla misericordia di Dio. Abbandonate le sue tragiche eroine e i personaggi che escono da un mondo borghese e moderno, qui l'autore di Leviathan e Adrienne Mesurat ci porta indietro nel tempo, in un agitato periodo che prepara la buia notte della Rivoluzione. Siamo nel 1785, al castello di Silleranges. Ed è qui che si muovono i quattro personaggi della vicenda. E qui che Philippe, l'aristocratico signore del luogo, che una ferita di guerra ha reso impotente, vive con malcelato dolore l'umiliante condizione di marito e sospetta che Jacques, il fratello minore, abbia conquistato la giovane moglie Elisabeth. La quale è combattuta fra fedeltà e ardore dei sensi che l'hanno ciecamente spinta verso il cognato. Questi, a sua volta, cerca un vano antidoto al rimorso e si trova esposto alla gelosia quando Pierre, il fratellastro (che si era fatto monaco dopo una giovinezza dissoluta, ma poi aveva di nuovo ceduto alle tentazione della carne), palesa e mette a segno il disegno di fare sua Elisabeth.
Sono fredde e oscure le notti d'inverno a Silleranges, i nobili vivono come assediati nei loro domini: la partita che si gioca fra i quattro è aspra. E il "nemico" s'affaccia con i suoi molteplici volti. Ma se si combatte, si può sconfiggerlo. Aperto è per tutti, soprattutto per Elisabeth il cammino entro il roveto ardente dell'espiazione. Drammaturgicamente, il testo (ben tradotto da Roberto Buffagni) procede nell'intreccio con qualche fatica e forzatura, non tutti i personaggi possiedono la vitalità necessaria, ma talune scene scuotono la coscienza. E il finale è pagina d'alta poesia. Merito va anche alla messinscena intelligente di Carmelo Rifici, giovane regista emergente uscito dalla fucina ronconiana i cui interessi sembrano andare alla drammaturgia del Novecento. Lo spettacolo fruisce di una meditata scenografia di Daniele Spisa e si innerva in una recitazione fremente di interpreti di limpida virtù espressiva. Con una particolare menzione di merito per Elisabetta Pozzi che disegna una Elisabeth di commovente trepidazione. Da segnalare anche Tommaso Ragno.

DOMENICO RIGOTTI, Avvenire 22 luglio 2007




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