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InScena - La recensione di Andrea Mancini
 

Il nemico di Julien Green
San Miniato: un luogo dove i miracoli ancora avvengono, un luogo votato al teatro, non solo a quello dello spirito, con la Fondazione Istituto del Dramma Popolare che dal 1947 crea mitici luoghi scenici nelle piazze della cittadina toscana, con l'apertura verso un teatro di idee che ha attirato i più grandi autori, registi, attori, scenografi. Dicevamo del miracolo, perché San Miniato città teatro ha saputo anche stavolta tirare fuori dal cassetto e dare una straordinaria vita scenica (che speriamo possa crescere in una ripresa assolutamente necessaria dello spettacolo nella stagione invernale) a Il nemico di Julien Green, con una serie di attori di eccezionale livello, a partire da una Elisabetta Pozzi di una intensità travolgente, con Marco Baldi, Alessio Maria Romano, Tommaso Ragno. Il nemico è, come dicevamo, un testo destinato a restare nel cassetto, seppure nella bella traduzione di Roberto Buffagni, un testo scritto nel 1954 all'interno di quella drammaturgia francese che non può non lasciare perplesso il pubblico italiano di oggi, ma anche quello di ieri: certo ci manca la dimestichezza d'oltralpe a parlare del male e del bene, il nostro "nemico", se esiste, non ha mai i tratti demoniaci, e inquietanti, e naturalmente anche affascinanti, di Pierre, il protagonista maschile, interpretato da un superbo Tommaso Ragno. Dunque l'occasione di riprendere Green, offerta da San Miniato a Carmelo Rifici, non può non essere considerata preziosa, soprattutto quando il giovane regista viene da una scuola europea, come quella creata da Luca Ronconi al Teatro Stabile di Torino. Quando si scopre che il mito di questo regista è un maestro della pedagogia teatrale russa, insegnante di movimento scenico al Gitis di Mosca, come Nikolaj Karpov, che Rifici ha avuto per tre anni come insegnante, insieme a due altri giovani attori del cast, cioè Tindaro Granata, l'aiuto regista, e Alessio Romano, che firma appunto il "movimento scenico".
Tutto questo avviene a San Miniato, dove Karpov è presente come docente di Prima del Teatro, Scuola europea per l'arte dell'attore, dove è stato appena pubblicato il suo Lezioni di movimento scenico (Titivillus 2007), dove in un altro spettacolo prodotto quest'anno ancora dall'Istituto del Dramma Popolare, La profuga di Luciano Marrucci, il "movimento scenico" è evidenziato fin dalla locandina, denunciando, anche stavolta un debito verso la grande scena russa, mostrando la parentela di questi spettacoli con i Cechov messi in scena da Mejerchold e anche da Stanislavskij. Dunque perché non parlare di miracolo. Siamo in una città che continua ad offrire al teatro delle straordinarie opportunità e il teatro con la generosità che ancora, anche se non spessissimo, lo contraddistingue, risponde trovando dentro di sé, dentro il proprio continuare a dare senso alle cose, energie assolutamente inaspettate. Il nemico insomma dimostra ancora la grande vitalità del teatro. La regia è di un rigore e di una forza che non vedevamo da tempo, anche per questo può entusiasmare e può anche essere discussa. Molto bella la scena di Daniele Spisa, che sfrutta la tradizione di San Miniato, citando, forse involontariamente, Il grande statista di Eliot, che Squarzina realizzò esattamente nello stesso luogo nel 1959, con le scene firmate da Luciano Damiani. L'immagine della grande serra, da cui si vede il vero boschetto che le sta dietro, resterà a lungo nella memoria degli spettatori, immagine stessa dell'assoluto, del bene, ma anche del male supremo, da cui il nostro mondo è invaso e guidato, soprattutto nei momenti che storicamente diventano la fine di un'epoca, come i passaggi finali del Settecento in cui Green ambienta il testo, o quelli dell'immediato dopoguerra, dove Rifici sposta, con grande maestria scenica, l'ultima parte dello spettacolo.

ANDREA MANCINI, InScena




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