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La recensione di Francesca Bonanni
 

La recensione

 

Quel vento del cielo

Coerente con la sua più che quarantennale politica teatrale, indirizzata a proporre testi di robusta vocazione religiosa, l'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato, presenta in questi giorni «Il vento del Cielo» (tit. orig. «The wind of Heaven») di Emylyn Williams, commediografo gallese di religione anglicana scomparso un anno fa e noto anche come regista ed attore (negli anni Cinquanta ottenne grande successo come interprete e lettore di brani di Dickens e Thomas). Per ambientare la sua «parabola» Williams sceglie un'epoca (il periodo immediatamente posteriore alla guerra di Crimea) e un paese (il Galles) che inseriscono l'azione in un asciutto contesto drammatico: sulle montagne gallesi, nel piccolo villaggio di Blestin, colpito da una tragedia del mare che ha causato la morte di tutti i bambini, in casa della vedova Parry vive un ragazzo di tredici anni, figlio della cameriera Bet. L'azione inizia quando da Birminghan giungono Pitter e Ambrose Ellis, rispettivamente direttore e padrone di un grande circo, entrambi alla ricerca del «favoloso nano musicale», un essere eccezionale loro segnalato da un barbone prossimo alla morte. Le indagini dei due forestieri rivelano, grazie soprattutto alle ammissioni di mamma Bet, che il piccolo Gwyn è dotato di poteri soprannaturali; non solo intorno al fanciullo aleggiano sublimi melodie ma egli possiede anche il dono della premonizione e della taumaturgia (difatti fa risuscitare un gruppo di reduci della guerra di Crimea, colpiti dalla peste).
Ma il piccolo guaritore, contagiato dal male, muore, non senza aver prima affidato al redento Ambrose Ellis l'incarico di proseguire nella missione loro affidata dal Padre e Ambrose riscopre fondamentali valori oscurati da un'esistenza arida ed edonistica, la vedova Parry ritrova la volontà di vivere, probabilmente accanto ad Ambrose, lo scettico mister Pitter tenta di spiegare il tutto con la ragione, rammaricandosi di non potersi servire, come gli altri, della fede.
Scritto, al termine del secondo conflitto mondiale «Il vento del Cielo» intende analizzare il disorientamento provocato dalle guerre ed additare prospettive di salvezza in soluzioni messianiche, ancora oggi fortemente avvertite. Del testo, i cui riscontri simbologici con il Vangelo sono fittissimi (il più pregnante di tutti pare essere quello Pietro-Ambrose), il regista Franco Meroni ha offerto una lettura che tende ad accentuare i connotati spirituali-religiosi, trascurando la possibilità di approfondimenti in chiave surrealistica (alla prima londinese l'opera fu giudicata dai critici teatrali «surrealista»).
Allo spettacolo ha dato vita un gruppo di attori di ottimo rango; in primo luogo Arnoldo Foà, il disinvolto ed incredulo Mister Pitter ottimamente affiancato da Aldo Reggiani, cui toccava il compito di tratteggiare la figura di Ambrose, il personaggio più interessante del lavoro; molto convincente, nel ruolo della cameriera Bet, Angela Cardile; Nunzia Greco era la vedova Parry dal carattere forte e sincero, Menna (la nipote) era Alessandra Celi, Paola Bacchetti la meschina pretendente di Ambrose, Luciano Fino e Mattia Cominoti erano, infine rispettivamente, Howel e il piccolo Gwyn.
Le scene (un salotto disadorno a forma di triangplo) erano di Stefano Pace (che firmava anche i costumi), l'adattamento del testo era di Marco Bongiovanni e Franco Meroni. Pubblico numeroso nella bella piazza di San Miniato e vivaci applausi agli interpreti.

FRANCESCA BONANNI Il Tempo, 25 luglio 1988




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