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Toscana Oggi - La recensione di Carlo Baroni
 

Francesco proiettato nel futuro
Rileggere la  «lezione» di San Francesco d'Assisi è stata indubbiamente un'idea brillante. Ma ancora più significativo si è rivelato il tentativo - a nostro parere pienamente riuscito - di restituircela nella sua dimensione più vera, moderna ed attuale, e soprattutto spoglia di tutto il fiabesco e fabulistico che la letteratura, nel corso dei secoli, gli ha cucito addosso e costruito attorno. Non un santo ecologico, docile e sereno. Ma un ribelle, un po' rivoluzionario ed un po' sessantottino.
A quasi cinquant'anni dalla messinsceana de Il Poverello di Copeau, per la regia del grande Orazio Costa, il polacco Krzysztof Zanussi, riadattando con Piero Ferrero un testo del romanziere francese Joseph Delteil, rompe definitivamente con la tradizione e con quella visione vittoriana portando in scena a San Miniato, alla cinquantaduesima festa del teatro L'uomo che vide, un lavoro difficile e di ampio respiro, che guarda a Francesco in modo diverso. Una revisione delle vicende del poverello d'Assisi, a misura di oggi, realizzate in chiave brechtiana, e presentate però nella sua versione più drammatica. Ne emerge una figura non molto distante da quella data dalla Cavani nel film, ma di sicuro più vicina alla versione di Zeffirelli, in cui si pone acuto l'accento sulla visione mistica.
Francesco è l'eroe vero e puro di una guerra contro l'ipocrisia, la falsità e la compiacenza. A introdurre e commentare le «stazioni» di questo itinerario, un anonimo narratore, reso come un nostro contemporaneo - quasi un professore di liceo, o meglio un cronista amatoriale - che è però spettatore di questa straordinaria vicenda della quale ne proietta gli episodi nell'epoca attuale, gettando uno sguardo al futuro. E così dalla scapestrata giovinezza, all'esperienza della guerra e della prigionia, alla vocazione.
Vivere il Vangelo alla lettera è il messaggio che il giovane Francesco riceve dal suo incontro con il prete. Con i seguaci della prima ora incontra la natura e le sue voci, che sono poi quelle di Dio. È il momento della celebrazione della povertà come condizione essenziale per la vera conoscenza della fede che è quella del mondo. E via di seguito, in un susseguirsi rapido di scene movimentate ed accattivanti, da Assisi a La Verna alle zone importanti nella storia della vita del Santo. Dopo il rapimento di Chiara e l'incontro con Giacoma De' Settesoli arriva la crisi. Si è perduta la regola. Rigidi, ma non troppo. Il dilemma che conduce alla prima secessione. Francesco si dà alla macchia e a La Verna, solo con la sua fede, incontrerà sofferenza, penitenza e dolore. Le stigmate gli segnano sul corpo piaghe d'amore. Il grande Santo muore, lascia la vita ma non la sua missione nel mondo perché la sua parola, vittoriosa di ogni avversità, resterà messaggio indelebile della carità di Cristo. Tutto in rapida sintesi, uno show televisivo in diretta nel quale, forse alcuni spunti interessanti vengono congedati troppo in fretta. Una narrazione che tuttavia cerca di dirci qualcosa di più uscendo coraggiosamente sopra le righe. Chiara nella vita di Francesco fu il romanzo, ma Giacoma schiva l'avventura anche carnale. E così anche lo scontro con la Chiesa ufficiale, reso da subito con la scena della nudità nella piazza di Assisi e forte di una didattica bella, quanto pericolosa forse meritava qualche approfondimento in più. Si spinge oltre Zanussi e lascia ampio margine alle provocazioni restituendoci Francesco nella sua verità essenziale, in quella nudità, anche materiale, con la quale improntò con cipiglio sessantottino la sua vita sulle orme di Cristo. Un infaticabile rivoluzionario, quasi ottocentesco e per certi versi forse troppo figlio dei fiori. Ma anche un romantico, perché combatte e allo stesso tempo si concede dolcemente nelle scene in cui la fede gli tende le braccia rompendo con forza l'irriquietezza con cui si dibatte nella ricerca della verità. Una regia non convenzionale che si apre straordinariamente all'ausilio di strumenti moderni. Non grandi novità, ma la conferma di un teatro che vuole liberarsi da tutto ciò che lo rende scontato.
Sulla scena scarna di Luigi del Fante, Carlo Simoni tiene con professionalità e senza cedimenti il ritmo della narrazione, mentre Maximilian Nisi offre una prova superba nelle vesti del poverello regalandoci dunque un Francesco appassionato, bello e accattivante che si muove con grande naturalezza e con il vigore di un eroe romantico da una scena all'altra. Gran prova anche per Antonio Pierfederici (il prete di San Damiano) veterano del palcoscenico, che è riuscito a dare al suo personaggio la giusta dose di ironia e surreale difficile da non gradire. Brava Sara D'Amario (Giacoma De' Settesoli) davvero di gran classe in questa parte piccolissima e incisiva. Un po' statuaria Frida Bruno (Chiara) e troppo convenzionale Maggiorino Porta (Bernardone).
Una nota di merito per Massimo Di Michele, fratel Leone, il mite che segue Francesco come un'ombra, perché riesce a dare forza a una figura un po' scialba facendo, tra l'altro, sfoggio di ottime doti vocali. Piacevoli le musiche. Applausi per tutti.
CARLO BARONI, Toscana Oggi, 26 luglio 1998




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