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L'Unit� - La recensione di Valentina Grazzini
 

«II custode dell'acqua», quasi una fiaba
Il thriller religioso in scena funziona
L'alchimia del teatro, talvolta, compie miracoli. Prendi un testo ambientato nella Gerusalemme dei giorni nostri, tra bombe e attentati, mettici la storia di un frate francescano archeologo che resta invischiato in traffici loschi, qualche morte sospetta, una coppia mista arabo-israeliana che vuole convolare a nozze contro ogni convenzione, soldati disertori per amore, e per finire libri, manoscritti e antiche pergamene che nascondono segreti immensi. Sulla carta, Il custode dell'acqua - in scena a San Miniato di Pisa fino al 27 luglio - porta con sé tanta retorica quanto una bella fiaba per bambini. Eppure, mescolati tutti gli elementi drammaturgici, aggiunta la bella scenografia curata da Daniele Spisa - che fa dialogare la vera piazza del paese con una struttura agile semovente, pronta a diventare Porta Santa, biblioteca o convento - lo spettacolo non solo regge ma trova un suo ritmo avvincente e godibile. Cinquantanovesima produzione della Fondazione istituto dramma popolare di San Miniato, Il custode dell'acqua ha visto la luce grazie all'adattamento che Sergio Pierattini e Marzia G. Lea Pacella hanno operato del romanzo di Franco Scaglia, Premio SuperCampiello 2002. Comunque fedeli alla loro cifra stilistica, che da sempre li ha visti scegliere grandi tematiche legate alla spiritualità, gli organizzatori per il secondo anno si affidano a testi contemporanei, giocati oltreché sui valori assoluti anche sulle contingenze sociali e politiche che affliggono il mondo. E se ne Il dilemma del prigioniero del 2004 la ricerca della pace e la difficoltà di intermediazione tra opposte fazioni facevano da protagoniste, poco distante è la traccia de Il custode dell'acqua. Con una marcia in più, che rende lo spettacolo appetibile anche a quanti non abbiano grande dimestichezza con gli "affari spirituali": quella di addentrarsi nel thriller religioso, unendo un po' di avventura e un pizzico di esoterismo. Così ognuno, in base ai suoi personali miti, potrà trovarsi a proprio agio in atmosfere note: dall'indimenticabile must de Il nome della rosa a I predatori dell'arca perduta fino al recente (più recente del testo, bene precisarlo) Codice da Vinci. Sulla scena troviamo un ottimo Maurizio Donadoni nelle vesti del protagonista, Padre Matteo. Tra gli altri, lo "sceicco" di Sergio Basile non manca di tenergli testa. E la regia di Maurizio Panici (già dietro le quinte de Il dilemma del priginiero) segue il crescendo della tensione con diligenza e qualche bel guizzo. Colpo di scena finale, siglato da applausi convinti.

Valentina Grazzini, L'Unità , 23 luglio 2005




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