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La recensione di Repubblica
 

Prima di "MobyDick" un Melville da fiaba
Parabola pacata ed empirica senza i titanismi del Moby Dick, Billy Budd, di Herman Melville, andato in scena per la 51a Festa del teatro di San Miniato, conserva, nell'edizione teatrale di Enrico Grappali, la semplicità di una fiaba, quella del «Bel trovatello» dagli occhi di stelle, del «Cattivo» che lo perseguita e del «Buon vecchio» che lo ama. Solo che la fiaba è una tragedia greca, consumata nella religiosità e spiritualità del testo, come è nelle tradizioni dell'Istituto del dramma popolare sanminiatese, fino a conservare, intatto, il mistero di fondo simbolo della vita stessa e propria sostanza: una «crocifissione» sotto forma di impiccagione al più alto pennone di una nave, in uniforme.
Il ruolo del giovane marinaio, puro d'animo, arruolato a forza sulla nave «Indomita», simpatico a equipaggio e capitano, invidiato dal maestro d'arme alle cui infondate accuse risponde in un moto di reazione con un pugno che l'uccide e per questo, in forza della legge, condannato all'impiccagione, è stato interpretato magistralmente da Maximilian Nisi, padrone di un palcoscenico sul quale la grande nave petrosa dello scenografo Pietro Cascella fa veramente assumere, come ha notato il regista, Sandro Sequi, la valenza di un sagrato. Ma anche gli altri interpreti hanno arricchito il senso di armonia che pervadeva questo straordinario Billy Budd. Eppure tutti quanti, dal maestro d'armi Claggart (un impareggiabile Corrado Pani), al capitano Vere (Massimo Foschi), al fustigatore Squeak (Giancarlo Condè), sono già morti, e il racconto si svolge a ritroso, in un'atmosfera di fantasmi, con il coro dei vecchi marinai di tutti i tempi, «la voce del mare», che sottolinea il verdetto.
Il linguaggio stralunato sottolinea i passaggi più ieratici; il risultato d' insieme, è quello di una sostanziale aderenza allo spirito dell'autore. Un risultato che Sandro Sequi ha ottenuto rimanendo fedele alla linea teatrale del festival, creato nel 1947 da don Ruggini, Silvio D'Amico e Giorgio Strehler e sempre andato in scena in una unica opera rivolta alla grande letteratura.
La Repubblica, 19 luglio 1997




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