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La Nazione - La recensione di Luciana Libero
 

Povero Billy Budd Angelo dei marinai
Cinquant'anni di Dramma popolare a San Miniato. Un bel record per un un appuntamento annuale che ha visto negli anni importanti messinscene, per un teatro che riflette su grandi temi, come il dissidio tra bene e male, il rapporto con il divino. Quest'anno la scelta è caduta su un testo di Herman Melville che quanto ad abissi dell'anima non scherza, a cominciare da quel capolavoro che è Moby Dick. Di Melville si è visto giovedì sera, tra continui scrosci di pioggia, Billy Budd, scritto nel 1891 pochi mesi prima della sua morte. Adattamento di Enrico Grappali e regia di Sandro Sequi, nel testo tornano tutti i temi più intriganti di Melville: il valore simbolico del viaggio per mare come anelito all'infinito, come itinerario di ricerca ulteriore.
Il dramma vede protagonisti un maestro d'armi, John Claggart, una vecchia canaglia con un suo passato tumultuoso e oscuro di giocatore, l'imbarco sulla «Indomita» come fuga dal mondo; il capitano Edward Vere, detto «lo stellato», per il suo scrutare come uno sciamano il cammino delle stelle; e il giovane Billy Budd, incarnazione dell'innocenza su cui si appuntano le attenzioni divise tra amore e odio di Claggart. Un vascello fantasma dipinto di bianco è il luogo, più mentale che concreto, dove si incontrano come fantasmi i protagonisti della vicenda, i quali la raccontano al pubblico come un oratorio astratto e metafisico. Siamo nel 1798, un anno dopo l'ammutinamento del Nore e il clima sulla nave non è proprio dei migliori: il terrore di tumulti e sedizioni serpeggiano e l'ossequio all'ordine e alla disciplina assumono tratti quasi maniacali. Tempi duri quindi per i marinai dell'Indomita, ma lo scontro tra Claggart e il giovane gabbiere di parrocchetto va al di là dei risvolti storici e sociali; scava piuttosto nei meandri dell'animo umano in cui il gioco tra vittima e carnefice diventa un gorgo infernale di innocenza e colpa.
Come in Cuore di tenebra di Conrad, su quella nave si intrecciano i destini dell'umana pietà e dell'umana perdizione. La calunnia di cui sarà vittima Billy Budd da parte del bieco Claggart raggiungerà ugualmente il suo scopo: il ragazzo accusato ingiustamente uccide senza volere il nemico Claggart decretando così la sua condanna a morte. L'inesorabilità della perdita dell'innocenza sembra quindi alla base del testo e il candore macchiato dal male non trova posto nemmeno sull'Indomita. Compariranno infine «lo stellato» e Claggart a commentare per noi sopravvissuti la vicenda e su tutti svetterà dall'alto del parrocchetto il giovane marinaio, agnello sacrificale, angelo dei marinai di tutti i mari.
Testo molto bello, adattamento e regia convenzionali, più funzionali nelle ultime scene. Ottime le interpretazioni di Corrado Pani e Massimo Foschi; il primo pirata e corsaro di anime; il secondo testimone dolente degli eventi. Buona infine la prova del giovane Maximilian Nisi e inoltre di Giancarlo Condè, Maurizio Gueli, Alessandro Pala. Ma al di là dei bravi interpreti, questo appuntamento annuale andrebbe un po' rispolverato con un occhio maggiore alla contemporaneità e qualche apporto artistico più fresco. Buona accoglienza.
LUCIANA LIBERO, La Nazione, 19 luglio 1997




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