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La recensione di Francesca Bonanni
 

Giobbe come simbolo della sofferenza
Il primo settembre 1939 i carri armati di Hitler varcavano i confini della Polonia e in pochi giorni tutta la parte occidentale del paese era sottomessa; il 27 cadde Varsavia e qualche giorno più tardi Hitler invase l'Estonia, la Lituania e la Lettonia. Quei tragici eventi che, come altre volte era accaduto nella storia, cancellavano dalla faccia dell'Europa la sfortunata nazione polacca, ispirarono all'animo di un giovane scrittore ventenne, di nome Karol Wojtyla, l'accostamento al personaggio biblico di Giobbe. Uomo pio, felice ed agiato, Giobbe fu improvvisamente colpito dalle più dure disgrazie; ma, sicuro della sua innocenza, insorse contro Dio, da cui non ottenne la spiegazione dei motivi delle sofferenze infittegli, ma la rivelazione dello scarso valore dei beni terreni; convinto Giobbe ottenne da Dio la benedizione e recuperò l'antica serenità.
La sofferenza di Giobbe, nel dramma di Wojtyla, rappresentato dall'Istituto del Dramma Popolare di San Miniato diretto da Marco Bongioanni, diventa la sofferenza di tutti gli uomini. Come luogo scenico per la rappresentazione è stata opportunamente scelta la piazza del Seminario di San Miniato; lungo uno dei lati della piazza dinnanzi agli spettatori, sono state disposte le scene, secondo la tecnica medioevale dei luoghi deputati, cosicché l'occhio dello spettatore può afferrare contemporaneamente lo svolgimento delle varie azioni. Al centro, tra bottegucce e stradicciole che si aprono verso l'interno del paese, in una sorta di grande presepio, campeggia la ricca dimora di Giobbe, che con la moglie e gli amici conduce vita agiata e serena. Ma, improvvisamente e senza alcun motivo, la quiete viene spezzata dall'annuncio di una serie di disastri; un montanaro racconta che « son cadute fiamme tremende da groppi di nuvole tutt'un tratto » e che greggi e pastori sono stati inceneriti. E l'incendio divampa realmente sulla scena così come più tardi saranno le porte stesse della casa di Giobbe ad essere arse. I messi portano le ferali notizie a Giobbe e sulla scena si materializzano i fatti narrati; le acque con un bellissimo effetto scenico, dilagano giù lungo una scala, l'uragano fa crollare la casa, travolgendo i figli di Giobbe, temporali e fulmini si scatenano sugli spettatori, venti rovinosi soffiano intrisi di odore di zolfo, suscitati da potenti maccbinari. Tutta la messinscena, curata dalla regista polacca Aleksandra Kurczab (con la supervisione di Kryztof Zanussi) accostando ai moduli della Sacra Rappresentazione attrezzerie sceniche tipicamente medioevali, richiama inevitabilmente schemi drammaturgici medioevali, anche se Zanussi, a ragione, ha potuto parlare di tecnica cinematografica. Se il dolore, la violenza non sono separabili dall'umana natura può essere lecito allora attualizzare l'odissea di Giobbe, apparentando il dramma biblico a quelli a noi più vicini di Moro e di Popielusko;  ed ecco sulla scena
scorrono rombanti moto di potente cilindrata e poi fa la sua comparsa una Renault rossa; intorno ad essa giovani dalle facce torve, con giacconi di pelle nera, compiono delitti infami.
La ribellione di Giobbe intanto è scoppiata; l'uomo sereno di un tempo, non è più che un grumo di interrogativi, di incertezze, ignaro del perché il Signore voglia infliggergli tante sofferenze. La risposta ai suoi martorianti interrogativi gli giunge da Eliu, un giovane scelto dal Signore ed ispirato dallo spirito profetico; il giovane profeta rivela a Giobbe la sofferenza di Cristo ancora a venire e gli indica la via della sua salvezza.
Spettacolo di grande suggestione per il potente urgere di sentimenti che investono l'umano destino Giobbe ha avuto sia nella cornice scenica sia nella regia mossa e serrata, sia ancora nell'accompagnamento musicale del Prologo e dell'Epilogo (affidati a Tony Cucchiara) una realizzazione
quanto mai pertinente. Bene anche gli interpreti: Paola Gassman, Eliu, ieratica e vibrante, avvolta di bianchi panneggi, Ugo Pagliai (al quale stranamente è stato affidato un personaggio come quello di Giobbe, che noi tutti sappiamo vecchio e perdipiù gravemente ammalato). Fiorella Buffa la moglie di Giobbe frastornata anche lei, come il marito, dalle continue calamità; Elifaz il Temanita era Filippo Alessandro, titubante nelle sue sicurezze allo stesso modo di Bildad il Suchita (Giorgio Biavati). Le scene erano di Sergio D'Osmo e i costumi di Gianni Garbati. Ottima la traduzione di Aleksandra Kurkzab e Margherita Guidacci. Applausi lunghissimi e convinti per uno spettacolo che sarà possibile vedere solamente a S. Miniato fino al primo agosto.
Francesca Bonanni Il Tempo, Roma, 27 Luglio 1985




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