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L'Unit� - La recensione di Aggeo Savioli
 

Ma questo Fortebraccio sembra Amleto
In un tempo e in un luogo indefiniti, un cavaliere di ventura, di nome Fortebraccio, giunge presso Ia tomba d'una fanciulla morta d'amore, attorno alla quale lavorano due ciarlieri Becchini. E qui, reduce già da conturbanti incontri, s'imbatte in due sinistri figuri, che si riveleranno per la Morte e il Diavolo. Della giovane donna defunta, la cui anima continua ad aggirarsi inquieta, apprenderà poi, evocata sopratutto in immagini davanti ai suoi occhi, la storia: che è quella, ben nota, solo qua e là variata, di Ofelia e di Amleto. Uomo d'azione e di battaglia, Fortebraccio ha dunque modo di conoscere indirettamente, il Principe del Dubbio, e comincia ad avvertire pur in sé qualche perplessità. Ma, una volta saputo che anche il problematico personaggio si è spento, vittima di una congiura, non esiterà troppo a prenderne il posto.
Si deve dar atto, all'Istituto del dramma popolare, dell'ardimento dimostrato nel proporre oggi, per la Festa del Teatro in Piazza del Duomo (approdata alla sua cinquantatreesima edizione, complimenti e auguri), un titolo inedito di autore italiano, Roberto Cavosi (classe 1959), apprezzato del resto, da oltre un decennio, per diverse notevoli prove. Questo suo Cavaliere di ventura, al di là della dichiarata matrice shakespeariana, si offre come una favola dolceamara, buona forse per tutte le epoche, ma dalle non poche rispondenze attuali: risalente quanto meno ai primi Anni Novanta, il testo potrebbe addirittura farsi, per certi aspetti, specchio obliquo del periodo presente, quando sembrano riavere fiato espressioni non molto dissimili dal «noi tireremo diritto» d'infelice memoria.
Non è facile, però, a tradursi in rappresentazione la scrittura di Cavosi, tendente spesso, nel caso, alla poesia, ma volutamente mista d'un linguaggio aulico, medievaleggiante (vi ha spazio anche il latino), e di fraseggi corrivi (si ascoltino le storpiature dei due Becchini, che ricordano da vicino Shakespeare). Succede, così, che i momenti forse più toccanti dello spettacolo, allestito con cura dal regista Beppe Menegatti, si ritrovino nelle pantomime in cui siproduce, come fantasma di Ofelia, la sempre incantevole Carla Fracci, affiancata, all'occasione, da Riccardo Massimi. Felicemente, il suo «tema» è quello creato da Sciostakovic per l'Amleto cinematografico di Grigori Kosinzev (ma non suonava altrimenti, a quel punto, derivando probabilmente dalla stessa fonte, la partitura di William Walton per il film di Laurence Olivier).
Virginio Gazzolo sostiene con bravura la non lieve parte di Fortebraccio. Gianluca Farnese e Massimo Di Michele sono i due Becchini. Completano il quadro Angela Cardile (la Morte), Maximilian Nisi (il Diavolo), Paola Roscioli, Cesare Lanzoni. La coreografia è firmata da Lue Bouy, la sintetica scenografia da Luigi Del Fante, i costumi da Elena Puliti, le luci da Andrea Travaglia. Si replica fino a mercoledì 28 luglio.
AGGEO SAVIOLI, L'Unità , 25 luglio 1999




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