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La recensione di Riccardo Galli
 

La recensione

Drammi umani oltre le trincee

E' veramente coraggiosa l'operazione che da diversi anni sta svolgendo l'Istituto del Dramma Popolare di S. Miniato. Quella cioè di dare spazio alla sempre più scarna drammaturgia nazionale, lasciando da parte le mode, i classici e dunque i facili successi. Un testo italiano, meglio se una novità, caratterizza le ultime edizioni della Festa del Teatro, che da 38 anni (è nata nell'ormai lontano 1947) si segnala come uno degli appuntamenti più severi del panorama culturale italiano. Severità che gli deriva anche dall'attenzione con cui1 l'Istituto scruta i drammi dell'uomo moderno, e il suo rapporto con la spiritualità e le sollecitazioni di un mondo in continuo divenire per estrarre di volta in volta quei capitoli più intensi sottoponendoli alla riflessione dello spettatore.
E' in questa tensione che si colloca anche la scelta attuale, che ha visto trasportare sulla scena un arduo testo di Fabio Storelli Oltre le trincee, nato precedentemente per Tino Buazzelli e poi rivisto e completato espressamente per S. Miniato. Vi si narra il tormento umano e spirituale idi Pierre Teilhard de Oardiin nei 33 mesi trascorsi come cappellano militare sul fronte di Verdun durante la grande guerra. Fra le lettere inviategli periodicamente dalla cugina Margherita, egli riceve anche il libro «proibito» di Gustave Flaubert, La tentazione di S. Antonio e si immedesima completamente negli incubi e nelle angosce di Antonio: i mali, i mostri e gli eretici, che tentano il santo, diventano ora interlocutori da verificare e confrontare.
Il disincantato realismo con cui Flaubert legge la vita di S. Antonio viene filtrato dalla teologia profondamente umana di Teilhard de Cardin, per cui in ogni azione umana è ancora possibile individuare qualcosa di buono. Il dialogo diventa serrato, a tratti convulso: Pierre si trova ora a consolare un giovane soldato morente, ora a respingere le tentazioni di Ilario, un suadente discepolo di Antonio, ora a dialogare a distanza con la cugina in rapidi squarci di vita familiare. Su una scena di cristallo, con l'ingrandimento al microscopio della cellula di un minerale senza vita apparente, si consuma il dramma umano del singolo e della collettività.
Ecco, è forse questo eccessivo insieme di citazioni, nomi, avvenimenti, che avvolge lo spettatore per oltre due ore, a conferire una certa pesantezza al dramma che il regista Alessandro Giapponi è riuscito ad animare con particolare abilità, sfruttando tutte le aperture del testo. Una scenografia a tratti pirotecnica (veramente stupenda anche la comice notturna del sagrato del duomo, dove lo spettacolo viene replicato con successo fino a domani) e un cupo accompagnamento musicale assai appropriato, conferiscono all'evento la necessaria intensità. Bravi gli interpreti. Virginio Gazzolo, nel suo duplice ruolo di discepolo tentatore e capocomico, sovrasta per un'interpretazione particolarmente ricca di sfumature; Carlo Hintermann sostiene con notevole impegno una parte massacrante, che lo vede continuamente sulla scena; Martine Brochard caratterizza con una grazia tutta francese i pochi momenti di serenità presenti nel dramma.
Bravi anche Virgilio Zernitz, un capitano Boucharde profondamente umano e Massimo Palazzini nelle vesti di padre Duval.

Riccardo Galli, Avvenire, Milano, 22 Luglio 1984




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