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Avvenire - La recensione di Domenico Rigotti
 

Billy Budd crocefisso all'alberto maestro
Una gemma della letteratura ottocentesca. E soprattutto un testo di grande rilevanza morale, filosofica e metafìsica. È Billy Budd di Herman Melville sul quale la Festa di San Miniato (festa giunta alla sua 51esima edizione) ha voluto quest'anno puntare i suoi fari e dare una fervida e limpida versione teatrale. A riunire le forze per la coraggiosa operazione, il drammaturgo Enrico Groppali, il regista Sandro Sequi e un bel manipolo di attori di grande professionalità trai quali Corrado Pani.
Dello splendido romanzo, oltre al film diretto da Peter Ustinov, sono note altre versioni ma di carattere musicale. A ricordare, le omonime opere di Benjamin Britten e del nostro Giorgio Federico Ghedini su libretto di Salvatore Quasimodo.
È forse opportuno rilevare come Billy Budd sia il canto del cigno di Melville. Un Melville che non dispone più della prosa rosso e viola e dell'energia creativa di un Moby Dick ma in cui il racconto guadagna qualcosa in più dalla concentrazione dei fatti e in cui la materia tragica appare come rasserenata da certi ieratici ritmi.
Billy Budd è la storia di tre uomini della marina britannica: e anche la storia del mondo, dello spirito e del diavolo. Il succo che da essa si ricava è che il bene e il male esistono nella natura delle cose: ognuno per sempre sé stesso, ognuno a guerreggiare con l'altro. Nel divenire del mondo, il male ha il suo posto, come lo ha il bene, il coraggioso capitano Vere disprezza il perfido Claggart, il maestro d'armi della nave, ma non può farne a meno. Il bravo ufficiale ama come un figlio il giovane trovatello Billy Budd, bello come un dio greco, l'occhio fisso nelle stelle, ma deve condannarlo al capestro. La giustizia detta un atto che la natura aborre. Queste sono le ambiguità della vita, ci dice Melville. La malvagità forse sarà punita, ma in questo processo l'innocenza e la bellezza soffriranno fino in fondo. È la lezione anche che ci arriva dal cristianesimo.
L'azione è da noi molto lontana ma grazie alla bellezza e allo stile del racconto non perde d'attualità. Siamo sull'«Indomita», una nave britannica che solca l'oceano alla caccia di un battello francese nemico. L'epoca è quella in cui il mondo vede nascere l'astro di Napoleone. È il 1797.
Bello come un angelo, venuto da lontano e dal mistero come Parsifal, Billy Budd è stato arruolato a forza nella marina. È pure sincero, il giovane Billy, ma il bieco Claggart, personaggio sinistro e demoniaco il cui odio per il ragazzo nasconde una passione repressa, lo accusa di tramare di ammutinamento. Nel confronto davanti al capitano Vere, l'innocente gabbiere di parrocchetto che sogna di diventare timoniere non riesce a difendersi poiché è affetto da una grave balbuzie. Umiliato allora, con un gesto inconsulto colpirà con un pugno Claggart, uccidendolo. Pur sapendo che il ragazzo è innocente, il capitano, con dolore, è costretto a farlo impiccare per l'omicidio. La legge del mare non può essere infranta. Benedicendo il suo capitano, Billy Budd che muore impiccato a quell'albero maestro in vetta al quale ha cantato le sue canzoni di libertà e d'amore, vivrà come un martire, come un Cristo nella memoria di marinai che già lo veneravano. La sua leggenda correrà sui mari. Difficile, arduo arrivare alle membrane delicate e segrete del romanzo. Groppali si sforza. Riduce bene i fatti. Punta sui nodi centrali della vicenda ma riesce a sfiorare appena la profondità e il mistero racchiusi nelle splendenti pagine di Melville. Tuttavia la sua fatica non va disprezzata e lo spettacolo ha una sua bella tenuta e un suo fascino. Soprattutto sul piano visivo regala immagini preziose e raffinate.
Ben aiutato dagli effetti di luce creati da Andrea Travaglia, Sequi impagina con mano attenta e precisa. Muove l'azione con il ritmo giusto e sapientemente sfrutta la scenografia. Scenografia che è data dalla grandiosa, bianca, solenne nave-cattedrale, realistica e simbolica un tempo, dovuta alla fantasia dello scultore Pietro Cascella.
Note positive anche sul piano attorale. Emerge Corrado Pani che usa di tutto il suo consumato mestiere per dare a Claggart quel profilo luciferino che richiede. I suoi gesti sono subdoli e la sua voce è corrosa dal male. Massimo Foschi, a sua volta, è un convincente capitano Vere, concreto e limpido, anche se dai suoi splendidi mezzi vocali potrebbe arrivare qualche maggiore nota ulteriore. In mezzo a loro, il giovane Maximillian Nisi è un amabile Billy Budd, vivido di grazia e di innocenza; «bien dans la peau» direbbero i francesi.
Più marginali le presenze degli altri, ma tutti assai corretti. Così Maurizio Gueli, Tino Censi e Giancarlo Condè che disegna con tratto forte Squek, il sadico caporale.
Concorrono a rendere interessante lo spettacolo i costumi di Cordelia Van Den Steinen e la colonna sonora di Hubert Wertkemper, tutta giocata sui rumori del mare. Il mare protagonista anch'esso di Billy Budd.
DOMENICO RIGOTTI, Avvenire, 19 luglio 1997




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