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Il Messaggero - La recensione di Renzo Tian
 

Il sonno della fede soffoca i miracoli
Alimentare per quarantasei anni, come fa l'Istituto del Dramma Popolare a San Miniato, un repertorio di teatro ispirato al tema della spiritualità con testi sempre diversi è impresa che merita anzitutto rispetto, se non ammirazione. Ma che cosa vuol dire, esattamente, teatro spirituale? Non è un genere etichettabile ma semmai una linea che attraversa il teatro di ogni tempo. E non si tratta nemmeno di teatro religioso nel senso devozionale della parola, se nella lista degli autori rappresentati in quasi mezzo secolo ci sono Eliot ma anche Strindberg, Padre Turoldo ma anche Thomas Mann, Claudel ma anche Silone. Perciò, l'appuntamento sul colle sanminiatese ha un significato che va oltre la qualità che gli spettacoli fanno via via riscontrare: ricongiungere il teatro all'antica fonte del sacro, nelle sue più diverse componenti.
Ci eravamo lasciati l'anno scorso con una riedizione del classico Il potere e la gloria di Greene (unico caso di ripresa di un testo già dato), e per quest'anno era stato annunciato il Mistero di Santa Uliva, poi cancellato per il «forfait» dato dal Teatro di Roma che avrebbe dovuto coprodurlo. Ma la soluzione trovata per riparare l'altrui falla è stata tutt'altro che un ripiego, perché ha fatto approdare in Italia un testo ancora sconosciuto. Perché Ordet («La parola») del danese Kaj Munk è noto soprattutto per il memorabile film che C. T. Dreyer ne trasse nel 1955. Scrittore di teatro (fu autore di una sessantina di drammi negli anni tra le due guerre) e pastore protestante, fuggevolmente attratto dalla dittatura fascista prima dello scoppio della guerra e poi trucidato dai nazisti per aver animato la Resistenza danese, Munk è oggi quasi dimenticato: anche perché la problematica del suo teatro è spesso legata a dispute e polemiche teologiche molto datate e localizzate.
Ordet è del 1925, ma fu rappresentato e pubblicato (con grande successo) solo sette anni più tardi. Apparentemente, il dramma pone l'interrogativo se la fede abbia ancora, nel mondo moderno, il potere di provocare il miracolo. In realtà esso punta sulla descrizione delle ristrettezze mentali e morali che caratterizzano il settarismo religioso e soffocano lo slancio della fede autentica. Due capifamiglia, il ricco agrario Borgen e il modesto sarto Peter, si oppongono con violenza al matrimonio di due dei loro ragazzi solo per la irriducibile opposizione delle loro confessioni religiose. Ma l'attenzione del dramma è centrata sulla figura allucinata di Johannes, uno dei figli del ricco possidente, che due anni prima ha perso la ragione in seguito a un incidente mortale occorso alla fidanzata.
Il ragazzo da allora è in preda a un delirio mistico che gli fa dichiarare di essere Cristo. Ma Munk ci mostra chiaramente come, in quel mondo di fanatismi contrapposti, il profeta, l'illuminato, possa essere soltanto questo Innocente di stampo dostojevskiano: il folle più savio di chi professa saggezza. E sarà Johannes, quando la dolce nuora del presidente muore di parto, a farla tornare in vita. Ma sia ben chiaro: a Munk non stava a cuore dimostrare la possibilità reale e verosimile di eventi miracolosi quanto ricordare, semmai, che se i miracoli non avvengono ciò dipende dalla sordità e ottusità delle menti che professano una fede sclerotizzata.
Regista e adattatore di questa prima edizione italiana di Ordet, Mario Scaccia ha abbondantemente potato il testo delle sue prolissità ideologiche, puntando sullo scheletro della storia e non trascurandone le possibili coloriture comiche. Non lo si può certo rimproverare, anche se la commedia prevale talvolta sul dramma. Perché, comunque, il nucleo tragico di Munk rifulge soprattutto nello stringente finale, quando il profeta innocente torna alla ragione: ma non, come dice, alla ragione degli altri e «all'orrore dei savi». Scaccia è stato bravissimo a trasformare il personaggio di Borgen in un iroso ma anche ironico patriarca mediterraneo. Da ricordare con lui, sullo sfondo di una scena multipla di Mario Padovan, gli ottimi Maggiorino, Porta e Consuelo Ferrara, e poi Fiorella Buffa, Gianluca Farnese, Antonello Chiocci, Sonia Antinori e lo stupefacente David Gallarello nel ruolo di Johannes, tutti calorosamente applauditi la sera dell'anteprima in piazza del Duomo.
RENZO TIAN, Il Messaggero 18 luglio 1992




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