Questo sito utilizza cookie tecnici, di profilazione propri e di terze parti. Se continui la navigazione, se accedi ad un qualunque elemento di questa pagina (tramite click o scroll), se chiudi questo banner acconsenti all'uso dei cookie.
Chiudi ed Accetta Voglio saperne di più
 

ARCHIVIO DI TUTTE LE EDIZIONI:

cerca all'interno del sito:

SEGUICI SU:


facebook youtube email



Ministero

Regione Toscana

ARCHIVIO
 
La recensione di Aggeo Savioli
 

Il Gesuita e lo Scrittore
Nel panorama sempre più fitto dell'estate di prosa, la « Festa del Teatro » che si tiene, a partire dall'ormai lontano 1947, in questa splendida cittadina toscana conserva una sua precisa fisionomia, proponendo anno per anno testi d'ispirazione religiosa, o affine, ma più o meno ricchi di tensioni problematiche. Autori anche famosi, stranieri e italiani, si sono avvicendati qui. Accentuato è parso nell'ultimo decennio, lo sforzo volto a sollecitare energie creative nazionali: in questo arco di tempo, otto firme su dieci sono di drammaturghi del nostro paese (tra di essi Diego Fabbri e Franco Enriquez, spentisi entrambi nel 1980, e ai quali ci si appresta a rendere un doveroso omaggio, in un « incontro fra amici » fissato per lunedì prossimo).
Oltre le trincee,  opera composta attraverso varie  e successive stesure da Fabio Storelli (47 anni e alle spalle già un discreto numero di titoli), pone a raffronto indiretto due personaggi che, almeno alla prima occhiata, più diversi non potrebbero essere (a prescindere dalla loro comune anagrafe francese): il gesuita, teologo e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) e il sommo scrittore Gustave Flaubert (1821-1880). Mediatore tra i due quel Sant'Antonio, alle cui tormentate vicissitudini lo stesso Flaubert avrebbe dedicato un suo libro, particolare oggetto di perplessità e travagli non soltanto formali. Ed ecco, dunque, l'ancora giovane Teilhard de Chardin, cappellano militare  al  fronte  nel  corso  della   terribile   guerra 1914-18, sedotto e turbato dalla lettura della Tentazione di Sant'Antonio, che l'affettuosa cugina Margherita gli ha inviato. L'atmosfera infernale che circonda il prete-soldato contribuisce alla sua immedesimazione negli incubi e nelle angosce di Antonio.  Il  discepolo  di  costui,  Ilario,  è  il fantasma che più da vicino assedia la coscienza del protagonista, assumendo  anche differenti identità  (a un certo momento, la sua figura si confonde con quella d'un capocomico, giunto con la sua sgangherata carretta sulla linea di battaglia). Ma vi sono, poi, interlocutori reali, o realistici, come — a distanza — la cugina Margherita  (che vive, intanto, una sua precaria, marginale vicenda d'amore), o come il capitano Bouchard, tipico esempio di borghese transalpino, scettico anzi miscredente, ma non intollerante, il cui bonario ragionare, sostenuto da una media cultura laica, completa il quadro critico entro il quale si collocano le vacillanti certezze del gesuita.
Teilhard de Chardin deve la sua perdurante notorietà, in special modo, al tentativo (o vogliamo dire alla tentazione?) di conciliare scienza e fede, più esattamente le teorie evoluzionistiche e la tradizione biblica. Anche questo tema viene inserito, in maniera forse un tantino sommaria, fra i rovelli dell'eroe del dramma. E si determina, così, un sovraffollamento di motivi, dove l'azione scenica rischia di rimanere ingorgata, (o comunque di cedere il passo a cadenze da oratorio). Bisogna però dire che Alessandro Giupponi, regista e co-scenografo, ha incorniciato di immagini appropriate ed efficaci lo spessore verbale del lavoro, riuscendo in più tratti a scioglierne la concettosità, nutrita di citazioni, in una dinamica audio-visiva ben proporzionata al luogo della rappresentazione, equilibrando elementi di fisica concretezza (i sacchi a ridosso delle trincee) e altri stilizzati, allusivi (le trincee stesse, geometricamente « scavate » fra blocchi di materiale sintetico).
Al di là del « caso » Teilhard de Chardin, riaffiora in certe composizioni d'insieme la memoria profonda della Grande Guerra, dell'« inutile strage » cui anche l'Italia dolorosamente concorse. E l'argomento dello spettacolo vede dilatarsi di conseguenza il respiro (del resto, visitando San Miniato, vi si riconoscono scorci ambientali del bellissimo film dei sanminiatesi fratelli Taviani, La notte ài San Lorenzo, che evocava altre cruente pagine della nostra storia...).
Nell'arduo ruolo di Pierre-Antonio, Carlo Hintermann offre la prova di un impegno teso e faticoso. In risalto, nella compagnia, Virginio Gazzolo, un seminatore di dubbi di tagliente e moderna evidenza.
Tanti gli applausi, all'anteprima. Le repliche proseguono fino al 23 luglio.
Aggeo Savioli L'Unità , Roma, 19 Luglio 1984




© 2002-2021 fondazione istituto dramma popolare di san miniato

| home | FESTA DEL TEATRO 2023 | chi siamo | dove siamo | informazioni e biglietti | scrivici | partner | sala stampa | trasparenza | sostieni | informativa privacy | informativa cookie |

 

Fondazione Istituto Dramma Popolare San Miniato
Piazza della Repubblica, 13 - 56028 San Miniato PI
P.I 01610040501

Home