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L'Unit� - La recensione di Aggeo Savioli
 

San Francesco? Vive tra noi
Forse per un distorto omaggio alla Povertà, che Francesco d'Assisi predicò e praticò intensamente, il Dipartimento dello Spettacolo ha tolto la sua piccola sovvenzione (cinquanta milioni) all'Istituto del dramma popolare, e dunque alla Festa del Teatro che, da oltre mezzo secolo, si svolge ogni estate in questa bella cittadina toscana. Nella nostra modesta ma onesta indipendenza di giudizio, ci associamo alla richiesta dell'Istituto, rivolta al ministro Walter Veltroni, perché venga riparato un evidente torto, e si ridiscuta tutta la questione riguardante un'iniziativa senza dubbio anomala, nel panorama teatrale italiano, ma degna di attenzione e rispetto.
S'è citato Francesco, e a lui è infatti dedicata la proposta odierna (repliche fino al 22 luglio, sulla storica Piazza del Duomo), con l'adattamento per la scena del libro, pubblicato nel 1960 e intitolato appunto al Santo umbro, di Joseph Delteil (1894-1978), scrittore di lingua francese, di scarsa notorietà fra noi, ma che è almeno da ricordare come ispiratore, con altra sua opera, della Passione di Giovanna d'Arco (1928), capolavoro cinematografico del danese Dreyer. Un artista di cinema, e come tale molto apprezzato (ma non nuovo a prove teatrali), è anche il polacco Krzysztof Zanussi, regista e, insieme con Piero Ferrero, autore del testo teatrale, tratto da Delteil, che qui ora si rappresenta, e che è stato ribattezzato L'uomo che vide.
C'è insomma, a introdurre e commentare le «stazioni» dell'itinerario di Francesco, un anonimo narratore, che si suppone nostro contemporaneo, ma che (con l'occhio della mente?) ha assistito alla straordinaria vicenda del Poverello, e ne proietta gli episodi e i significati nell'epoca attuale, gettando uno sguardo, altresì, al futuro. Non ci si stupisca nel sentir pronunciare nomi come Freud, Einstein, Lenin...
Dalla scapestrata prima giovinezza all'esperienza della guerra e della prigionia, dalla vocazione religiosa iniziale alla fondazione dell'Ordine, ai contrasti che vi si manifestano, dalla sofferta solitudine che vale al Santo l'acquisto delle stimmate, fino alla morte, seguiamo in rapida sintesi (il tutto dura un'ora e tre quarti, senza intervallo) una storia certo più complessa e accidentata di quanto non ci si mostri, ma che tocca il cuore e il cervello di credenti e non credenti. Tema più volte ribadito, la «scandalosità» dell'agire e del parlare di Francesco, quel suo voler prendere il Vangelo «alla lettera», in un mondo nel quale (siamo a cavallo del XII e del XIII secolo) la Chiesa è già un'istituzione compatta, un forte soggetto politico. Lo spettacolo è di una sobrietà estrema, davvero francescana, e si concede ben pochi lussi. Non ci disturba la bicicletta inforcata dall'«Uomo che vide» (un pacato Carlo Simoni), mentre di quel paio di veicoletti a motore che dovrebbero raffrontare la consorteria giovanile di Francesco con quelle di oggi avremmo fatto a meno. Sulla scena quasi nuda (la firma Luigi Del Fante) l'unica nota di vivo colore è data dai panni di Bernardone, mercante di stoffe e padre di Francesco. Il ruolo di questi si affida a un persuasivo Maximilian Nisi. Gli anziani della situazione sono Maggiorino Porta e Antonio Pierfederici, le donne Frida Bruno e Sara D'Amario. Gran successo.
AGGEO SAVIOLI, L'Unità , 19 luglio 1998




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