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L'Unit� - La recensione di Valentina Grazzini
 

San Miniato si tuffa nello spirito. Con una grande Maddalena Crippa
Recupera la spiritualità più pura, il simbolismo che lega terreno e celeste, umano e trascendente, l'Istituto del dramma popolare di San Miniato, tra Firenze e Pisa, che festeggia in questi giorni il 6Oesimo anno di vita. Lasciati alle spalle intrighi internazionali e crisi mistico-terroristiche, con La Roccia, testo autobiografico dello scrittore statunitense (naturalizzato inglese) Thomas Stearns Eliot (1888-1965), questo festival tutto particolare torna a mettere in scena con il consueto rigore temi inconsueti (e desueti) come la costruzione della città di Dio, il rapporto tra la fede e l'amore, il dolore, il perdono. Affidandosi ad un attore di scuola come Massimo Foschi (vecchia conoscenza del teatro sanminiatese) e una presenza d'eccezione come la musa di Peter Stein Maddalena Crippa. Quest'ultima, relegata ad un ruolo di comprimaria, ha ammesso di aver accettato la piccola parte di Vivien, moglie del protagonista, perché innamorata di questa donna, «che esprime in poche scene forte l'esigenza di confrontarsi con il compagno di una vita». La forza, a questa sacra rapresentazione di sapore medievale trapiantata nell'oggi, davvero non manca, con un coro formato da una dozzina di giovani attori che tiene le fila della partitura drammaturgica ed una storia da raccontare che tocca corde delicate ma poderose nella loro atemporalità. Sulla scena pastello coraggiosamente inclinata di Daniele Spisa (una diagonale secca e incombente sul pubblico, quasi un occhio divino che osserva dall'alto) troviamo all'inizio delle (asciutte) due ore di spettacolo gli affranti parrocchiani intenti a fare ordine nel Duomo di San Miniato, distrutto durante la seconda guerra mondiale. L'adattamento di Pino Manzari (allievo di Orazio Costa, sua anche la regia) incrocia la storia del paese con quella del romanzo di Eliot, un filo teso ma in alcun modo fastidioso per la drammaturgia che anzi scivola dall'una verso l'altra con naturalezza, senza scossoni. Dalla ricostruzione di quel che fu distrutto si passa infatti ad una nuova costruzione, quella della casa di Dio (e qui siamo dentro il romanzo di Eliot, in quegli anni alle prese con la conversione all'anglicanesimo): ecco La Roccia del titolo (un intenso, concentrato Massimo Foschi) che guida il suo gregge verso un iniziatico viaggio di dubbio e conquista della Fede. Quasi perfetto il sincronismo dei giovani coreuti a cui spetta il compito non facile di rendere accettabile alle orecchie del pubblico un testo lirico e non sempre godibile senza una punta di fatica. Nella scatola cinese che la drammaturgia di Manzari riserva, ci troviamo infine nell'intimo della coppia Vivien - Thomas S. Eliot, dove una ispirata Maddalena Crippa dà voce (ma anche corpo, con la fisicità che ne contraddistingue il recitare) ai più reconditi dilemmi di una donna innamorata ma presente alla vita ed al passare del tempo. E grazie anche alla presenza di un cavallo di razza come la Crippa, le due ore scorrono via con il passo di una riflessione mistico-religiosa. Un'unica perplessità: l'intermezzo che distrae i primi minuti di spettacolo con un «fuori teatro» in cui Foschi e la Crippa manifestano la difficoltà dell'operazione che vanno ad intraprendere, di cui forse non sentivamo il bisogno. Garbato ed incisivo il commento musicale dal vivo di Maurizio Picchiò alle percussioni, applausi per tutti da un pubblico ogni anno che passa sempre più affezionato e motivato.
Repliche fino al 26 luglio, info 0571/400955.

Valentina Grazzini, L'Unità 22 luglio 2006




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